Il cibo parmigiano e che cosa ho imparato scrivendone
Sono cresciuta in una famiglia per niente attaccata al cibo. In casa mia si mangiava per necessità, più che per gusto. Non c’è mai stato il culto dell’uscire per provare un ristorante e il mettersi a cucinare era vissuto come un dramma che avrebbe portato a spreco di risorse soprattutto fisiche nel momento del riordino e della pulizia della cucina.
In più vivo a Parma, patria di paste ripiene fatte in casa. Qui è usanza preparare distese di anolini per Natale, le donne uniscono le forze e tra stracotto da cucinare, sfoglia da tirare e ripieno da arrotolare, ognuna ha la sua dose di responsabilità. Tutto questo io l’ho sempre sentito raccontare, ma non l’ho mai vissuto sulla mia pelle e per un lungo periodo la cosa non mi toccava. Ogni tanto provavo timidamente a cucinare qualcosa, da piccola, ma i risultati erano scarsi, e il supporto pressoché inesistente. Ho aspettato di andare a vivere da sola per dilettarmi un po’ di più e sperimentare tra libri di ricette, siti e blog. È stato un crescendo e oggi posso dire di sapermi, più o meno, arrabattare in cucina. Compro molti libri scritti da cuochi importanti, leggo articoli, mi appassiono a serie tv dedicate al food e frequento workshop di cucina. E mi piace! Non che voglia diventare cuoca, almeno credo, più che altro voglio mangiare, ma una volta che ho cominciato, ho scoperto che è un mondo stupendo e che assaggiare, provare, sperimentare, permette di avventurarsi in tradizioni altre e diverse, ci vuole coraggio, in un certo senso, è un modo intimo per scoprire il mondo, uno spingersi oltre.
Ma perché osare se non si conoscono le tradizioni di casa propria? Ecco, bella domanda.
Negli ultimi mesi ho lavorato a una guida gastronomica della mia città, è stato un lavorone perché, scrivendola, mi sono resa conto che qui c’è tanto, ma tanto. E Parma è una città molto attaccata (forse troppo) alle sue tradizioni, al punto da accogliere le novità con diffidenza. In compenso, per assaggiare Parmigiano stagionato e fette di un buon Crudo di Parma, c’è l’imbarazzo della scelta e il che è un bene, non voglio sottovalutare nulla, anzi, mi ritengo parecchio fortunata. Fatto sta che ho mangiato e assaggiato tanto, ultimamente, per stare al passo. Ormai ho consegnato la guida e quel che è fatto è fatto ma, giuro, avrei voluto continuare questo lavoro per conoscere sempre di più di quel sottobosco di appassionati e coraggiosi che credono tanto nelle tradizioni e nelle innovazioni da fare ricerca, costruire progetti forti e attirare persone, metterle a tavola, sfamarle nello stomaco, ma anche nel cuore e negli occhi. Non è una sviolinata, ho visto tanta di quella passione in queste storie che vorrei essere in grado di raccontarla per bene. Leggerete la guida, magari, forse vi farò scoprire qualcosa, o più probabilmente mi sgriderete per non aver inserito questo o quello e mi svelerete chissà quali altre meraviglie.
Il punto è però che per conoscere meglio, ho voluto provare a mettermi anche dall’altra parte, mi sono messa il grembiule e a 33 anni suonati ho preparato i miei primi anolini. Una delle ultime domeniche fredde e piovose di questo maggio assurdamente novembrino sono stata alla Panetteria Rosetta per una mezza giornata a farmi insegnare da Enrico, che da una vita prepara gli anolini tra i più rinomati della città. Si impara dai migliori, giustamente. La vedevo come una vittoria lontanissima, invece sono tornata a casa con due vassoi multistrato di pasta ripiena fatta da me in tutto e per tutto. Gli anolini di un giallo brillante, il ripieno stuzzicante, con tanta noce moscata perché a me piace così, ma anche molto Parmigiano, la semola a riempire di polvere ruvida la superficie. Sarò arrivata in ritardo, ma mi sembra di aver conquistato l’America, è una sensazione bellissima.
Quello che voglio dire – perché c’è sempre una morale quando scrivo o racconto, ormai lo saprete – è che non è mai tardi per appassionarsi. Arrivare in ritardo, scoprirsi bravi o innamorati di qualcosa non ha un tempo limite, non c’è niente di più appagante dello scoprire gioie insperate o inaspettate. E sentire il peso del giudizio o del commento perché altri hanno già fatto, già provato, già detto, è un’inutile violenza. Mettetevi i grembiuli, se lo desiderate e sporcatevi le mani per la prima volta, vedere la pasta piatta e perfetta da animare con ripieni e stampini sarà una sensazione preziosa che vi sorprenderà. Fatelo per tutto ciò che desiderate, è un atto di coraggio o di scoperta, la noia si sconfigge a suon di volontà e inesperienza. Imparare insegna l’umiltà e la condivisione, fa sentire vulnerabili e porosi e quando si impara una cosa, si aggiunge un mattoncino anche a tutto il resto.