Sono cresciuta con un ritornello in testa: “prima il dovere, poi il piacere”. È sempre stata una regola ferrea in casa mia fin da quando ero piccola. Di base mi trovo anche d’accordo: è giusto, anzi, sacrosanto rispettare le proprie responsabilità. Quello che però a me è successo spesso è che il piacere, poi, finiva in fondo alla lista, come se fosse una specie di premio, un contentino che però non deve diventare un’abitudine.
Questo pensiero mi ha portato ad avere un’idea un po’ bislacca di dovere e di piacere, finendo per vivere le esperienze positive sempre come qualcosa che va meritato. Mi venivano anche i sensi di colpa, certe volte, quando facevo qualcosa che amavo molto senza aver fatto apparentemente niente per meritarmelo. Il risultato è stato che ho finito per mettere in discussione me e quello che mi rendeva felice, dando la precedenza sempre alle necessità, felicità e soprattutto aspettative altrui. Quando ho iniziato a farci caso, il mio atteggiamento è cambiato.
Quante aspettative abbiamo deluso?
Tante volte ci sentiamo di dovere qualcosa agli altri, che siano i nostri genitori, amici, mariti, mogli, figli, chiunque. Non vogliamo deluderli e allora diciamo di sì, accantoniamo i desideri e le aspirazioni e pensiamo che sia la cosa giusta, dopotutto così li rendiamo felici. Ok, ma non sarà il caso di pensare anche alla propria felicità invece? Cosa c’è di sbagliato esattamente nel deludere le aspettative? Le aspettative vengono dall’esterno, sono una specie di “scarico di responsabilità” da parte degli altri, ci rimaniamo male quando qualcuno si comporta in modo diverso da come avremmo sperato (o da come ci saremmo comportati noi), magari teniamo anche il muso; ma, appunto, la speranza era la nostra, chi abbiamo davanti non ha la sfera di cristallo per leggere nella nostra mente e, soprattutto, ha un margine piuttosto ampio di potere decisionale riguardo se stesso e il proprio modo di agire. Lo stesso vale per noi. Mettere via le aspirazioni per paura di far soffrire qualcuno è un modo praticamente certo per autorizzare noi, invece, a soffrire. È una specie di auto sabotaggio. Questo non significa che allora chissenefrega, comportiamoci da egoisti e ciao a tutti. No. Ma ricordarsi di mettere al primo posto i propri desideri sì.
Un esercizio che sto facendo
Ho fatto molta fatica ad accettare di essere più egoista e sto ancora lottando con sensi di colpa e frustrazioni del genere. Con me stessa soprattutto, degli altri sto imparando a fregarmene sempre un po’ di più. Soffro quando si accumulano troppe cose nella mia vita, mi sento soffocare, sopraffatta da impegni e responsabilità varie. Ultimamente mi è venuto proprio il rifiuto di scrivere gli impegni sull’agenda e così ho finito per ripetermi mentalmente le cose, come tanti imperativi. Devi scrivere! Devi leggere! Devi aggiornare il sito! Devi tradurre! Devi andare a quell’appuntamento! Devi partire! E così via. Un’ansia indicibile. Tutte queste cose io le ho scelte nel momento in cui ho deciso di vivere delle mie passioni. L’ho scelto perché sono cose che mi piacciono così tanto, che ho deciso di dare loro la massima importanza. E allora perché bollarle con un “devo”, quando in realtà sono tutti dei “voglio” scelti consapevolmente giorno dopo giorno? Ecco, allora nell’ultimo periodo sto provando a fare un esercizio. Non sto più usando il verbo devo, quando so che ci sono incombenze ad aspettarmi. Anziché “devo scrivere”, dico “voglio scrivere”, oppure “oggi scrivo”. Così non percepisco più tutto come un obbligo, ma come una scelta, perché in effetti di quello si tratta. Tutto così sta prendendo un peso diverso, più leggero. E sta succedendo che doveri e piaceri, guarda caso, spesso combaciano e accorgermene è stata una scoperta bellissima, una forma di libertà che mi rende felice.
E se avrò deluso qualche aspettativa, pazienza. Chissà quante ne deluderò ancora.