Questa settimana facciamo una cosa vietata. Almeno per ora. Ed è, tra tutte, quella che a me manca di più: viaggiare. Ora, chi mi conosce sa che per quanto abbia l’ambizione di navigare il mondo intero, in realtà non ho viaggiato poi così tanto, ma c’è una città che per me è tutto. È il mio chiodo fisso da più di vent’anni e questa domenica ci spostiamo, con la mente, proprio lì: a Londra. E lo facciamo con una guida d’eccezione: Sherlock Holmes. A marzo, per Giulio Perrone Editore è uscito il libro A Londra con Sherlock Holmes, scritto da Enrico Franceschini. Potevo farmelo scappare? No di certo.
Franceschini vive a Londra dal 2003, è corrispondente per La Repubblica e ha vissuto anche a New York, Washington, Gerusalemme. Eppure, Londra è il suo grande amore. È stata una conquista graduale, lo racconta in un altro libro dedicato alla capitale inglese, si intitola Londra Babilonia e parla della globalità di questa città. È del 2010, sono passati 10 anni e una Brexit in mezzo ma, se vorrete, ne parleremo.
Londra, probabilmente lo sapete, è una città altamente letteraria, la si ritrova in opere di ogni epoca, ha ospitato artisti ed eroi e, nell’immaginario collettivo, è da sempre un luogo del possibile, di opportunità. Londra è la New York d’Europa: ci sono i grattacieli ma, ancora citando Franceschini, è una “metropoli di casette” riferendosi alle tantissime case georgiane e vittoriane che caratterizzano l’architettura della città. Le case di Londra, patrimonio dell’umanità.
Dicevo, città letteraria. Anna Quindlen, giornalista americana, ha maturato negli anni un amore viscerale per la capitale britannica, pur senza esserci mai stata. Com’è possibile? Attraverso la letteratura! Fa il suo primo viaggio a Londra quando ha 40 anni, con tutto il timore di rimanere delusa. Lo sapete di che sensazione parlo, vero? Come quando idealizzi una persona al punto di non riuscire poi ad accettarne i difetti. Ma non è andata così e lo racconta nel libro Londra Immaginata, uscito per Feltrinelli nei primi anni 2000 e ora molto difficile da reperire.
Noi però adesso abbiamo un obiettivo ben preciso: esplorare la Londra di Sherlock Holmes che, pur essendo un personaggio di fantasia, conserva nell’immaginario collettivo un’immagine forte e precisa, 100% inglese. Rappresenta la Londra di fine ‘800, la capitale dell’impero più grande e più potente del mondo. La Londra del progresso.
Partiamo dal principio. Intanto l’autore Arthur Conan Doyle non era inglese, ma scozzese. Ha studiato medicina a Edimburgo e si è spostato a Londra qualche anno dopo aver dato alla luce Holmes. È incredibile come non conoscendo la capitale ne abbia scritto e l’abbia scelta come scenografia per il suo personaggio, che si muoveva tra le strade buie della città che già allora “inghiottiva tutti i perdigiorno e gli sfaccendati dell’impero”. Non la conosceva ancora, di fatto e così, per raccontarla, usava le mappe. Il primo racconto di Sherlock Holmes, Uno studio in rosso, risale al 1887 e Doyle viveva a Portsmouth, faceva il medico ma già pensava che quello non fosse il suo destino. Si trasferirà a Londra successivamente per poi passarci, nel complesso, solo qualche anno. Qualcosa di sé, però, da bravo scrittore, l’ha messo nei suoi racconti: Watson, lo sapete, è medico, mentre il personaggio di Holmes è ispirato a Jospeh Bell: professore di Doyle all’università, era un medico con uno spiccato, anzi, unico spirito d’osservazione, capace di identificare il malanno ancora prima che il paziente gli sottoponesse i sintomi.
La Londra di Sherlock Holmes ha un epicentro ben noto: Baker Street. Buffo scoprire che Doyle, molto tempo dopo, quando avrà sviluppato una specie di odio per il suo personaggio, negherà di esserci anche solo passato, quando il suo studio, in realtà, si trovava poco distante. Al 221b di Baker Street in realtà non c’è niente. Quella che oggi è la casa museo si trova a un altro numero civico, ma per tutti quella è la casa del detective privato che ha influenzato – e continua tuttora a farlo – la letteratura noir. Prima di lui, quasi nessuno. Pensate che Conan Doyle trovava i libri gialli molto noiosi: ne ha letti a decine e, tranne quelli con protagonista il detective Dupin di Edgard Allan Poe, tutti gli altri non valevano niente. Così è nato Sherlock. E per molti è nato davvero, tanti si rifiutano di credere che si tratti di un personaggio immaginario. Quando l’autore ha cercato di ucciderlo facendolo cadere da un dirupo i fans sono insorti. Vi ricorda niente? Misery, magari? La fine di Doyle, vi tranquillizzo, non è stata tragica come quella del protagonista del romanzo di Stephen King, ma ha dovuto comunque convivere per sempre con il successo del suo personaggio, a discapito di altre sue opere, che riteneva migliori. Sherlock è l’uomo che non ha mai vissuto e che non morirà mai.
Franceschini, partendo dal 221b di Baker Street è andato alla scoperta degli altri luoghi che hanno segnato la vita e l’opera di Conan Doyle. Impossibile non citare il Saint Bartholomew’s Hospital, il Saint Barth, il più vecchio ospedale di Gran Bretagna, dove Holmes e Watson si incontrano. C’è poi il Langham Hotel, l’albergo di lusso dove Arthur Conan Doyle e un altro autore a lui contemporaneo vengono chiamati a rapporto da un editore americano. L’altro autore, by the way, era Oscar Wilde.
Si passa da Montague Place, dove viveva Doyle, poi lo Strand: la strada che da Trafalgar Square arriva fino a Temple Bar. Il nome, non a caso, è anche quello della rivista che ha consacrato la fama del detective ospitandone i racconti a puntate
In questa Londra ottocentesca si incontra una babilonia contemporanea dove convivono grattacieli ed edifici avvenieristici, come il Crick Institute, ma anche case antiche di più di un secolo e lampioni a gas. Passeggiando nella Londra raccontata da Franceschini si trova questo, ed è impossibile non voler scoprire ed esplorare di più. Franceschini ci fa da cicerone: dà un nome ai luoghi, li colloca nella nostra fantasia ma anche nello spazio di quella che ora è la world city. Città globale. Ci permette di viaggiare, cosa oggi impensabile e, ancor di più, di sognare, di progettare, di aprire Google Maps e appuntare tutte le tappe del nostro prossimo viaggio che terminerà, e questo lo dico io, sulla collina di Primrose Hill, che per me è il luogo perfetto per un arrivederci: un ciao dall’alto allo skyline di questa città pazzesca, che contiene, allontana, nutre, stanca, isola, alimenta e si trasforma pur senza cambiare.
Chiudo con William Blake: I have conversed with the spiritual sun. I saw him on Primrose Hill.
Per ascoltare il podcast di questo episodio di #librididomenica, clicca qui