È arrivato il momento del sovraccarico. Giorni, mesi a correre e fare, per poi ritrovarsi completamente sfiniti e persi, con la mente offuscata e pesante. Come se in realtà non avessimo fatto nulla. Per non parlare del costruire: pura fantasia. Certe volte per superare i problemi o per affrontare la vita con le spalle sufficientemente larghe (almeno all’apparenza) stipiamo le giornate con illusioni fisiche e mentali. Come se ci servisse veramente un arsenale per sopravvivere. Eppure, nonostante il nostro kit di primo soccorso, davvero non riusciamo a proseguire. Perché? Perché anziché difenderci, dovremmo accettare, accogliere, abbracciare. Anche i problemi. Anche gli aspetti più odiosi e insopportabili delle nostre vite. Semplicemente perché ne fanno parte.
Spesso ci difendiamo con paradisi artificiali, riempiamo stanze e agende di oggetti, passioni e impegni per non pensare, crediamo che i diversivi salveranno il mondo. Il nostro, per lo meno. Invece no. Più ci appesantiamo, più siamo esposti al pericolo. In pratica, è un autogol. Gabriele Romagnoli, scrittore, giornalista e grande viaggiatore, ha scritto un libro meraviglioso sull’arte del viaggiare leggeri dal titolo Solo bagaglio a mano (l’ho eletto libro dell’estate, lo sto regalando e consigliando a tutte le persone a cui voglio bene). Viaggiare come metafora del vivere; viaggiare leggeri come metafora del vivere semplicemente.
Ad esempio, dice: “Il bagaglio a mano rileva il superfluo. Se torni e ce l’hai fatta con quel numero di capi, fogge e colori, significa che non hai davvero bisogno di quanto, nel tuo guardaroba, esorbita. Di quanto, nella tua vita, esorbita”. Ed è uno spunto di riflessione importante. Davvero tutto ciò che abbiamo è necessario e ci aiuta nella nostra quotidiana battaglia? O forse facendo un lavoro di selezione e alleggerimento saremo capaci di coltivare un modo di vivere più puro, dove riuscire a dare valore profondo alle nostre emozioni? Purificare non è facile. Applicare un decluttering all’esistenza può sembrare difficilissimo e lo è, almeno all’inizio. Ma in palio c’è la felicità. Il pensiero di eliminare oggetti, persone, passioni è spaventoso, però se ci concentriamo su ciò che davvero amiamo, ci rendiamo conto allora anche di ciò che invece possiamo perdere. Perdere è un’arte e, come ha scritto Elizabeth Bishop nella poesia One Art, non è così difficile da padroneggiare. Tutte le cose che entrano nelle nostre vite portano valore ed esperienza – positiva o negativa – alcune sono destinate a rimanere, altre ad abbandonare il campo dolcemente, senza causare eccessivo dolore. Vivere in maniera minimalista vuol dire assegnare il giusto valore ai tratti che compongono le nostre vite, focalizzandoci sui più importanti, che determinano davvero la nostra felicità, ed eliminando il resto, il superfluo. Restando con il solo bagaglio a mano, in sostanza. Questo ci permetterà di vivere in modo più semplice, spontaneo e sincero, accogliendo le emozioni; ci aiuterà a vivere in modo pieno e profondo il quotidiano, senza focalizzarci sull’ansia del futuro. Non significa che i problemi scompariranno, ma avremo la mente più aperta e leggera, una visione più ampia che ci aiuterà a reagire più lucidamente e consapevolmente.
L’illustrazione è di Cosmosnail